di
Valerio De Felice -
pubblicato il 7 Gennaio 2025
Quando il signor G., prefetto della polizia di Parigi, entra nello studio di Dupin, l’investigatore ideato da Edgar Allan Poe, ha da sottoporgli una questione di massima segretezza. Afferma:
ve lo dirò in poche parole, ma prima di cominciare debbo avvertirvi che si tratta di cosa segretissima, e che perderei probabilmente il posto, se si venisse a sapere che l’ho confidata a qualcuno.
Una certa persona, la cui identità deve rimanere ignota, è stata derubata di una lettera dal ministro D. (“che osa tutto”), il cui contenuto, se svelato, sarebbe fonte di grande imbarazzo, o addirittura di rovina, per una “persona di altissimo grado”, di cui “si metterebbe in dubbio l’onore”. Chi ha trafugato la lettera adesso la detiene, nascosta, nella propria abitazione e la utilizza come mezzo di esercizio di potere sull’illustre persona. La lettera è certamente celata nella dimora del ministro, eppure nonostante gli operosi tentativi del prefetto G., non si è stati in grado di trovarla, né nel doppio fondo di un cassetto, né nelle cavità delle zampe delle sedie o dei mobili, né nei letti, nel cortinaggio, nelle tende, nei tappeti…
Tutta la vicenda è, per il lettore, offuscata dal mistero: misteriose sono le identità dei personaggi coinvolti, misterioso il contenuto della lettera, misteriosa la sua collocazione. Eppure, al contempo, tutto sembra estremamente chiaro: certamente la missiva è di natura amorosa e rivelatrice, dunque, di un sentimento coltivato tra una nobildonna e il gentiluomo derubato. E se la detenzione della lettera consente a un ministro di esercitare ancora più potere di quanto normalmente non ne abbia è segno inequivocabile che la dama in questione deve appartenere alla più alta aristocrazia, se non addirittura identificarsi nella regina di Francia. Tutto è segreto, ma tutto è rivelato, sin dalle prime righe del racconto.
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